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Lettere dalle Missioni

Bansoa (Camerun)

Carissimi,
ho ricevuto la vostra lettera inviata a me verso la fine de l’anno scorso, per il natale. Veramente, mi scusate per questo modo di funzionare. Sono veramente da punire. Sono sempre fortemente toccato dalla vostra fedeltà, e di tutto che voi fate per rimanere connessi a me, nonostante tutti i miei sbagli.

Sono stato trasferito dall’altra parrocchia degli anglofobi a questa qui che sta a 25 km dalla città. E’ proprio un villaggio e cerco di tenermi sempre su. E’ un po’ difficile vivere in un contesto in cui non si ha vissuto per dieci anni. Ecco, sono dieci anni che sono prete e voi siete rimasti fedeli a me.
Grazie.

Mia salute sta molto bene. Sono stato ammalato per due mesi, ma con la grazia del Signore sto bene adesso. C’è una gravissima mancanza d’acqua pulita qui da noi, e devo fare tutti questi chilometri per avere acqua da bere. Cerchiamo di fare un buco, ma ci mancano i soldi per fare qualcosa di buono. La gente è molto povera, anche se ce ne sono alcuni che sono ricchi ma non sono generosi. Sempre cercano come si può fare per prendere. Grave no?

Vi mando il mio indirizzo internet, così, se voi ne avete uno, potremmo comunicare per internet e così più rapidamente avere notizie a vicenda.

Carissimi, forse la prossima volta potrò mandarvi delle notizie della parrocchia, anche qualche foto, per farvi apprezzare il modo di vita que ho adesso. Con la grazia di Dio, sono contento.

Un saluto fraterno a tutti voi, la fedele Simonette che firma da dieci anni tutti i corrieri che mi vengono da voi. Grazie Grazie e Grazie ancora. Il Signore vi benedica e vi tenga sotto le sue ali.
Rimango unitissimo a voi, specialmente durante questo periodo di Pasqua.

Buona Pasqua a tutti voi.
Ciao, il vostro Guy-Noël

(E’ il primo seminarista sostenuto negli studi dalla nostra comunità: da dieci anni è sacerdote e ha già guidato alcune parrocchie)

Goias (Brasile)

Un abbraccio di pace per tutti voi,
l’ultima e-mail è stata allegra e simpatica, vero? Oggi mi ritrovo col foglio bianco e un’insieme di episodi che vorrei provare a condividere con voi. Ma come al solito mi trovo a dovere fare un filtro, scegliere solo un episodio, e cercare di non dilungarmi troppo. E’ così che ripasso i giorni di questa settimana, e tante immagini mi riempiono gli occhi. Arrivo fino alla segunda-feira, lunedì, alla riunione del NATA. E’ una associazione cattolica che si impegna nella lotta contro le droghe, aiutando tossicodipendenti e relative famiglie. Nei locali di una parrocchia del centro ogni lunedì si svolgono 3 riunioni. Una per i ragazzi/e dipendenti chimici che vogliono entrare nella comunità terapeutica (chiamata stanza della verità). Un’altra per i ragazzi/e che hanno già completato il percorso di disintossicazione e vogliono tenere alta la guardia per non ricadere (chiamata sala della perseveranza). L’ultima sala, la più affollata, è quella in cui i genitori dei ragazzi sono invitati a fare un percorso per affrontare la malattia dei figli in modo nuovo (sala delle famiglie). Ho la possibilità di entrare nella sala della verità e poter ascoltare i tanti racconti dei ragazzi/e presenti. Di solito, prima di entrare nella fazendinha de recuperaçao sono richiesti tre incontri in fila. Un educatore dirige l’incontro invitando ognuno a raccontarsi, con sincerità. Emergono così le motivazioni profonde, le sconfitte, la voglia di non mollare, il fragile sogno di cambiare vita, di prendere per le corna il demone della droga. Si usano una serie di terminologie che mi lasciano inizialmente un po’ attonito: la tossicodipendenza è una malattia cronica, incurabile, mortale… quello che si può fare è di paralizzarla per più tempo possibile; senza una vera fede in Dio non si può pensare di recuperarsi perchè l’uomo ha bisogno di un aiuto che venga dall’alto; dietro la droga c’è il demonio che vuole distruggere la nostra vita e quella della nostra famiglia…
Ma a lasciamo voce a questi fratelli sfigurati, alla ricerca di un po’ di pace e di un nuovo volto.
T. è un ragazzo alto, chiaro di pelle, dagli occhi chiarissimi e un po’ di barba:
“buona sera a tutti, sono qui perchè la mia ragazza mi ha buttato fuori di casa, non sopporta più che torni a casa ubriaco. Mi ha portato qui lei, non so chi le abbia detto di queste riunioni… Sono qui per la prima volta, non ho molta voglia di parlare ma io uso solo alcol, non uso droghe”.
Un lungo silenzio e sguardo basso, poi ricomincia:
“però mi sono reso conto, negli ultimi tre anni, che non riesco a fare 7 giorni in fila senza bere…”
A. è una ragazza ben formosa, che zoppica un po’ nel camminare. Un sorriso molto dolce, circa 19 anni. Mentre parla gesticola molto con le mani:
“ho cominciato a usare cocaina 5 anni fa, ad una festa, per scherzo… i soldi non mi sono mai mancati e da allora non ho mai smesso. Mi sveglio alla mattina e ancora prima di fare colazione e lavarmi i denti mi drogo. Sono qui perchè mi rendo conto che la cocaina mi sta dominando. Credevo di essere io a sceglierla, ma è lei che ha scelto me e non riesco più a liberarmene. Due mesi fa, dopo una festa, ho fatto un incidente in macchina. Il problema è che non riesco più a controllare l’abuso, a volte uso 500 Reais (più di un salario minimo locale!!) in una sola sera. Da sola non ci riesco…”
Un forte sospiro che riempie l’enorme silenzio di tutti. E con voce ferma e decisa: “Dovete aiutarmi”
G. è incredibile, un ragazzo sui 25 anni coi capelli neri e lunghi, senza un dente. Le sue parole mi hanno stretto il cuore, mi ha fatto davvero male vedere un ragazzo in questo stato. Impressiona perchè il suo corpo non riesce a stare fermo due secondi, è un continuo movimento scontrollato di mani e di piedi. In continuazione muove la testa in preda a tik nervosi. Non riesco a capire tutto quello che dice… parla rapidissimo e credo che alcune parole gli restino nella lingua.
“Eravamo in 6, sono tutti morti, io sono l’unico ancora vivo del nostro gruppo… non voglio finire come loro. Mio padre è nell’altra sala e mi ha appena picchiato perchè sono arrivato qui fatto. Ho tenuto duro tutto il giorno, ma poco fa…
scusatemi, sono una merda! Io uso di tutto, krak, cocaina, marijuana, alcol, solventi… qualunque cosa va bene. Ho già provato a smettere, anni fa… non mi ricordo neanche perchè ho ricominciato, oggi è peggio di allora… Credo che il mio vero problema è che non ho fede, non so neanche come si fa il segno della croce. Non ho più neanche un amico. Non voglio bene a nessuno e credo che in verità nessuno mi voglia bene.”
Come smette di parlare si alza ed esce con una sigaretta in mano, abbassandosi la visiera del cappello.
Talita è una ragazza bellissima, compie 16 anni proprio oggi. Per noi è una vecchia conoscenza. Era stata diversi anni alla Talitha Kum, la casa di accoglienza per ragazze gestita dalle suore passioniste. Espulsa l’anno scorso per aver introdotto in comunità del solvente. Ha avuto un bimbo, Tallis, da un menino di rua, Serioace… qualcuno di voi sicuramente lo ricorda per i racconti di Don Corrado del 2006. La sua storia sarebbe davvero complessa da raccontare, quindi lascio spazio solo a quello che lei vuole dirci…
“Ciao a tutti, mi chiamo Talita e sono alla 5a riunione. Voglio entrare in fazendina perchè la droga mi ha portato via mio figlio. Io non mi considero una dipendente chimica tradizionale. Non cerco la droga e non mi manca. Nella mia vita però, soprattutto nei 3 anni che ho vissuto in strada, ho usato di tutto. Qualunque cosa andava bene. Il problema è che ogni tanto mi torna la voglia di drogarmi. Sono stata abbandonata in un orfanotrofio appena nata, ho girato vari posti d’accoglienza… poi sono scappata in strada, dove sono rimasta incinta. Poi alla Talitha Kum aspettando di partorire. Il mio ex-ragazzo (Serioace) ha già fatto la fazendina e si è recuperato bene. Eravamo a vivere tutti insieme in mezzo alla campagna, coltivando la terra e allevando buoi. Ma con lui andava male. Un giorno in città mi hanno offerto della droga… la volevo buttare via ma non l’ho fatto. Arrivata a casa mi sono drogata con mio figlio in braccio. Non so perchè l’ho fatto. Oggi, come conseguenza, mio figlio è in Portogallo, su mandato del giudice, con la mamma di Serioace. Resterà là fino a quando non mi libero davvero dalle droghe. Tallis, mio figlio, è la mia unica ragione di vita e farò di tutto per riprendermelo. Voglio fare bene la fazendina, completare i 9 mesi e tornare alla Talitha Kum col mio piccolo. Sono molto determinata e so che ce la farò”
Storie di dolore, di lacrime, di solitudine… di speranza. Una speranza ancora molto fragile ma che merita il nostro ascolto, la nostra comprensione e le nostre preghiere.
Storie di dolore e speranza che esistono, incredibilmente simili, anche nella nostra città, nel nostro quartiere. E allora che questo sussurro possa renderci più attenti e sensibili alla profonda piaga della nostra società, chiamata droga, che sempre più strangola i nostri giovani.
Gesù sulla croce ha condiviso il nostro dolore. Che ognuno di noi accetti la sfida di provare a condividere il dolore dei nostri fratelli.

Un grande abbraccio di pace a tutti voi.
Paolo

Ps: stiamo cercando per Talita un contributo mensile per appoggiare la camminata di 9 mesi in fazendina. E magari, perchè no, una lettera ogni tanto per incoraggiarla. C’è qualcuno che crede nella sua “nuova vita”?